Beschreibung
"Polenta bella, polenta d’oro, con le salsicce tu sei un tesoro, pure la nonna tutta felice, quando la mastica ti benedice, polenta d’oro"
”Pulenta bella, pulenta d’ore, che le saucecce tu scì nu tesore! Pure mammòccia, totta felice, quande mascica te benedice, pulenta d’ore" (Pelini-Setta da Le Canzoni di Pettorano)
Pettorano sul Gizio, in provincia dell'Aquila, sorge all'interno di un paesaggio di grande bellezza, tra boschi e morbide alture che lo custodiscono come un gioiello da proteggere. Il suo centro storico fu interamente ricostruito dopo il sisma del 1706. Caratteristiche le cinque porte d'accesso al borgo e preziosi i Palazzi gentilizi. Del periodo medievale rimane l'imponente Castello Cantelmo, eretto nell' XI secolo, che si affaccia sul fiume Gizio dominando, dal colle della Guardiola, l'intera Valle Peligna. In seguito al restauro compiuto negli anni novanta, è stato parzialmente trasformato in una moderna struttura espositiva e ospita mostre, esposizioni temporanee e concorsi fotografici. Attualmente è sede del centro visite della Riserva Naturale Regionale Monte Genzana Alto Gizio ed ospita mostre temporanee e sede delle mostre permanenti: Gli Uomini e la Montagna, di V. Battista; Mostra dei carbonai, di V. Battista; Reperti archeologici di età Romana, di F. D’Amico; Antologia della Pietra a cura di Riccardo Patrignani.
La particolarità di questo splendido borgo è che ne fa un caso unico nel panorama complessivo delle aree protette, è la sua presenza all'interno del perimetro dell'area tutelata della Riserva Naturale Monte Genzana Alto Gizio che, con un'estensione di 3164 ettari, rappresenta un corridoio di collegamento per gli scambi faunistici tra il Parco Nazionale d'Abruzzo e il Parco Nazionale della Majella. Il suo territorio, compreso tra i 530 metri s.l.m. del fiume Gizio ed i 2170 metri s.l.m. del Monte Genzana, è costituito da ambienti naturali assai diversi che custodiscono un elevato patrimonio floristico e faunistico. La Riserva nel 2020 è stata premiata con l’Oscar Ecoturismo per l’impegno nello sviluppo dell’ospitalità sul modello “dell’albergo diffuso” e per la valorizzazione turistica del suo patrimonio ambientale, con interventi mirati a migliorarne l’inclusività e l’accessibilità, attraverso la realizzazione di una rete di ciclovie, l’implementazione delle dotazioni delle foresterie e la gestione dei rifugi montani.
Ogni anno il borgo celebra il piatto principe della gastronomia locale con la “Sagra della Polenta Rognosa”, piatto dei poveri sdoganato da molti chef stellati e protagonista dell’alta cucina internazionale. Non una delle tante sagre, ma una manifestazione di importante valenza antropologica. Il classico e gustoso appuntamento della tradizione gastronomica locale, che affonda le sue origini nel 1962, è divenuto uno degli appuntamenti imperdibili dell’Epifania in Valle Peligna. Sin dal mattino presto, quasi come un rito, in vari spazi del borgo si approntano le postazioni con i paioli di rame sui fuochi accesi e, in altre cucine all’aperto, si preparano i più svariati sughi che andranno a condire la polenta. Tra musica e balli, vicino alla regina del menu, si gustano prodotti tipici locali, come Pizzelle, Crustole, Mognele e Chezzerieje. L'evento, accompagnato da mostre artigianali e vendita di prodotti enogastronomici, ogni anno richiama qualche migliaio di buongustai che, sfidando ogni condizione climatica, affollano le suggestive piazze, slarghi, vicoli dei uno dei Borghi più Belli d’Italia.
La polenta è un semplice antichissimo piatto formato da un impasto di acqua, sale e farina di mais. La ricerca storica e le tracce di questo importantissimo alimento, ne individuano l'origine nell'alimentazione dell'uomo delle caverne passando per le civiltà babilonesi, assire, egiziane.
Dal "puls" l'impasto di cereali, come il farro, non panificabili, di epoca romana si passa ad un'alimentazione più sostanziosa con l'arrivo del mais in Europa nel 1525 e la sua diffusione nei secoli successivi presso tutte le classi sociali che rappresentò una fondamentale tappa contro la fame che in quel tempo affliggeva le classi meno abbienti. Il mais diventa cibo principale dei carbonai, dei tagliaboschi che vivevano per lunghissimi periodi dell'anno nei boschi per procurarsi legna da ardere, da costruzione e carbone.
Della polenta sono note diverse varianti: da quella scura con farro o segale o grano saraceno a quella bianca con mais bianco alla gialla con farina di mais, ma la tradizione abruzzese ha la sua versione nella "rognosa", piatto tipico e “faticoso” della tradizione culinaria di Pettorano sul Gizio (AQ), uno dei Borghi più Belli d’Italia.
"Sei sole, sei luna piena, sei oro, sei bontà! Sei bella, sei saporita, sei scioglievole! Sei allegra, sei generosa, sei l’umiltà. Ami il freddo dell’inverno, l’olio nuovo, il vino novello, le verdure di stagione. Ti sposi con il domestico maiale, sei cibo, storia, memoria, paesaggio, risorsa. Sei…la “polenta rognosa” un atto d’amore". (Ode alla polenta “rognosa”)
L’origine della polenta rognosa è molto antica e rappresentò una risorsa per i tanti pettoranesi costretti a lasciare le proprie case e le famiglie per “andare a fare i carboni”. Fino alla fino alla metà degli anni ‘50, il mestiere del “carbonaio” era infatti quello più diffuso e costituiva una delle poche fonti di sostentamento delle famiglie. Armati di roncole ed asce, i carbonai passavano lunghi periodi lontano da casa, durante i quali l’unico pasto era rappresentato dalla polenta: a colazione, a mezzogiorno come a cena, mangiavano quasi sempre polenta “scrita” senza condimento, insaporita solamente strofinandola a turno contro un’acciuga che pendeva per un filo alla “camastra”.
La preparazione della polenta richiede tempo notevole ed una tecnica legata a riti e ritmi particolari. La farina versata a pioggia nell'acqua salata, viene lavorata mescolando in continuazione per circa un’ora dalle “sapienti e forzute” braccia del polentaro, che ne indurisce l’impasto con il “cazzagno”, il bastone di legno usato per girare la polenta.
L’impasto non si deve fare attaccare alle pareti del paiolo che deve essere rigorosamente di rame e deve raggiungere un grado di consistenza e di cottura che possa permettere di rovesciarla su un canovaccio di cotone o di lino posto su un tavolo da cucina e poi di essere tagliato a fette con un filo di refe, mai con il coltello. Le singole fette vengono riposte nuovamente nel caldaio ancora caldo in modo da formare strati sovrapposti. La polenta rognosa o "dei carbonai" è condita abbondantemente con salsicce, pancetta, carne di maiale, formaggio pecorino, aglio, peperoncino, olio di oliva o in altra versione con sugo di pomodoro, salsicce e pecorino riportata per qualche minuto sul fuoco per l’amalgama finale. È questa una tradizione perpetrata negli anni che dona alla polenta rognosa il gusto di un pasto prezioso dal sapore antico.
L’etimologia dell'attributo rognosa, con molta probabilità, fa riferimento alla malattia procurata dall’eccessivo consumo di mais o di carne di maiale. Per lunghissimo tempo è stata un cibo di sussistenza, tanto che a causa del suo consumo continuato, senza aggiunta di altri nutrienti, ha contribuito alla diffusione di una malattia chiamata pellagra, dovuta a una insufficienza di vitamine. Secondo altri si riferisce al termine inteso come “rogna”, ossia seccatura in quanto la preparazione è molto elaborata.
Ingredienti principali per la preparazione della polenta “rognosa” sono la farina di granturco, rigorosamente ricavata da mais a otto file, macinata in mulino a pietra, utilizzando essenzialmente acqua del fiume Gizio di ovidiana memoria, l’olio Evo ricavato da olive qualità di rustica e gentile, la carne di maiale domestico, il pecorino del Monte Genzana. Può essere accompagnata da pancetta, costatine e salsicce di maiale, funghi, tartufi, mugnoli (verdura locale) e da un ottimo vino….il Montepulciano d’Abruzzo.
É un piatto quasi irrinunciabile per gli amanti della polenta, specialmente nella stagione fredda. É un piatto che richiede convivialità, ricorda il sole ed è compagna ideale di formaggi, carni e sughetti.
Vista la particolare lavorazione e l’impegno fisico richiesto, la preparazione di questo tipo di polenta è da sempre compito quasi esclusivo degli uomini. É quindi necessario che le nuove generazioni apprendano le tecniche e soprattutto siano disponibili ad imparare la faticosa arte dei polentari affinché questa tradizione non svanisca nel tempo: non si tratta quindi di semplice gastronomia, ma soprattutto di conservazione della cultura locale, di un atto d'amore per la propria terra e le tradizioni dei padri.
Ogni anno, durante le festività Natalizie, viene celebrata la “Sagra della Polenta” per non dimenticare tradizioni, sapori e riti appartenuti da millenni al paese di Pettorano sul Gizio.
Attualmente la polenta, al pari di molti altri cibi poveri, sta vivendo un periodo di riscoperta come piatto gastronomico e di tradizione. E come tutti i piatti tradizionali, si può preparare a casa, ma a Pettorano sul Gizio, nel cuore dell’Abruzzo, si può vivere una particolare esperienza e frequentare la scuola di cucina per imparare la lavorazione della “polenta rognosa” con il maestro Michele Ciccolella al paiolo.
Della polenta hanno cantato musicisti, poeti e letterati, stregati da una pietanza che sa essere unica.
“Splendono le pannocchie al sol d’autunno, / tutte certezza; ed ai fanciulli parlano / della polenta che la madre al fuoco / del nel paiolo rimesta, e d’un sol colpo / sul tagliere arrovescia, e, nel buon fumo / ravvolta, suddivide in tante fette / quante le bocche.”
Ada Negri, Le pannocchie, Poesie, XX sec.
“Giunto poi che sia / gennaio con la sizza come frusta / che scocchi su la pelle e con la neve / alta sino ai polpacci, oh, benedetta / la polenta che scalda mani, gola / e sangue, mentre sugli alari avvampano / secchi rami di pino intorno al ceppo, / e dalle travi del soffitto in strane / ombre discende, adagio adagio, il sonno”.
Ada Negri, Le pannocchie, Poesie, XX sec.
“Oggi, la vera polenta non esiste più, perché sono venute a mancare le premesse, dalla coltura del mais al trattamento della farina nei mulini, dove i cilindri hanno sostituito la pietra, fino alle qualità organolettiche del mais, modificate dagli ogm. Ormai, più che di farina da polenta bisogna parlare di un' approssimazione. Il reperimento della materia prima originaria non è più possibile, tranne pochissime eccezioni”.
Ermanno Olmi, Fuoco di legna, paiolo, farina ruvida quel rito sacro e gioioso fatto in famiglia, su la Repubblica, 2005
“Fare la polenta in casa è un rito sacro, sacro e gioioso: il modo con cui, un tempo, la famiglia celebrava la propria unione. Ne sentiamo la mancanza, come di tutti i riti che affermano la gioia di stare insieme”.
Ermanno Olmi.
(testo sulla "Polenta rognosa" liberamente tratto da: "Ode alla polenta" di Rosa Giammarco, Accademica di Sulmona)