Descrizione
Il legame degli abitanti di Capitignano (AQ) con la loro terra ha radici ben profonde e un nome preciso: pastinaca. Sulle origini di questo tubero c’è chi parla di archeologia orticola, sarebbe stato diffuso infatti in tutta Europa dai Romani, importandolo dalla Germania. Nei secoli, a Capitignano la pastinaca ha sviluppato un ecotipo a sé, diverso dagli altri presenti sul mercato per il sapore dolce, il colore più tendente al giallo e la presenza di ramificazioni laterali.
Nel borgo montano di circa 600 abitanti ricompreso nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, la pastinaca non è mai mancata dagli orti domestici. La sua coltivazione si è progressivamente ridotta, a causa dell'introduzione della patata in zona a partire dal ‘500, ma anche a causa di una gestione molto delicata: il terreno deve essere morbido e drenato, le piantine vanno prima diradate e poi, una volta raccolte, pulite con cura. Ma, come una madeleine proustiana, dalla memoria dei locali non era mai scomparsa del tutto.
«L’abbiamo fatta riassaggiare ai nostri compaesani perché tanti non ricordavano nemmeno che sapore avesse – racconta Noemi Commentucci, giovane produttrice la cui famiglia è stata fra i primi promotori del percorso di recupero del tubero, continuando a coltivarlo e proporlo agli ospiti del loro agriturismo –. Ma la memoria gustativa ha fatto la sua parte: molti di loro sono tornati bambini, richiamando gesti e sapori di famiglia». Come il cenone della vigilia di Natale, che secondo la tradizione a Capitignano prevede sette portate vegetali, pastinaca inclusa.
Oggi il Presidio riunisce alcune decine di produttori. «Speriamo che sia l’occasione per rilanciare la coltivazione anche in paese», conclude Noemi. Tra gli obiettivi anche la valorizzazione dei trasformati, come ad esempio i già sperimentati paté ottenuti dai fittoni, per ridurre al minimo lo spreco.
«Da sempre Slow Food pone la difesa della biodiversità al centro dei suoi progetti con l’obiettivo di tutelare la straordinaria ricchezza del nostro Pianeta, ma dal 1999 l’associazione ha dato vita a uno degli strumenti più significativi: i Presìdi Slow Food – afferma Silvia De Paulis, referente dei Presìdi Slow Food dell’Aquilano –. Abbiamo raccolto la voce delle comunità che con tenacia, amore e tanto sacrificio, hanno conservato le loro diverse varietà orticole strettamente legate al territorio ed alle tradizioni. Li abbiamo incontrati, ascoltati e abbiamo compreso che era la strada giusta da percorrere insieme, con il sostegno concreto del GAL Gran Sasso Velino, da sempre vicino a noi per progetti di valorizzazione e tutela delle produzioni di piccola scala. Saremo al loro fianco per difendere e tutelare i loro sforzi, anche nella speranza che nuove generazioni di agricoltori siano disposte a impegnarsi con loro per un’agricoltura più pulita e sostenibile, capace di generare un giusto reddito a chi voglia intraprendere questa strada».