San Martino, eremita nato ad Atessa nel Quattrocento e vissuto in una grotta nei pressi di Fara San Martino, attorno a cui sorse un monastero. All'approssimarsi della sua morte il Santo, tornato in paese, chiese al popolo di commemorarlo portando ogni anno dei ceri nel luogo del suo eremitaggio.
Al primo chiarore del giorno, verso le 3 del mattino, un gruppo di pellegrini, esce dalla cattedrale di San Leucio e si avvia verso la montagna, in direzione del Vallone di Santo Spirito di Fara San Martino, per rinnovare la tradizione di portare in dono al santo miracoloso cinque grandi ceri votivi, detti "n’dorce", al fine di scongiurare la siccità e propiziare il buon esito dei raccolti. Le "n’dorce" sono gosse torce del peso di circa 7 chili, con un cero centrale e quattro più piccole, intervallati da canne, alla cui sommità sono posti dei fiori. Durante il lungo cammino, di circa 30 chilometri ( Atessa, San Pasquale, Crocetta di Bomba, Sant’Antonio di Bomba Roccascalegna, Gessopalena, Lago di Casoli – Ciclone - Civitella Messer Raimondo, Fara San Martino) i pellegrini compiono alcune soste rituali e vengono ristorati dagli abitanti dei paesi che incontrano sul percorso e accolgono chiunque voglia unirsi al cammino.
Arrivati a Fara entrano nella Chiesa madre e lasciano, come offerta, due mazzi di spighe di grano e due "n'dorce", poi proseguono per lo stretto passaggio della gola di San Martino, dove sono i ruderi dell’antico monastero. Celato dalle Gole di Fara San Martino, il monastero di San Martino in Valle, appare da subito come un luogo magico. Si tratta di rovine, ma che comunque conservano un fascino spettacolare. Sono tuttora visibili i resti del cancello con il quale i monaci avevano facoltà di chiudere l’accesso alla valle. L’ambiente è aspro e roccioso e la strettoia che caratterizza le gole di San Martino è molto suggestiva ed emozionante. I devoti salgono quindi fino alla grotta dove San Martino visse da eremita. Qui depongono le altre "ndorce" e le accendono poi raccolgono pietruzze, “le cicelitte” che useranno per guarire dai dolori addominali o per spargere sui campi per benedire il raccolto.
Dopo una cena frugale i pellegrini si recano nella Chiesa di San Pietro per passarvi la notte e attendere, al mattino la benedizione delle cicelitte. Quindi riprendono la strada del ritorno. Al loro arrivo il popolo atessano li accoglie con il suono delle campane. Fino a qualche decennio fa, questo pellegrinaggio veniva effettuato per tre volte: l’ultima domenica di aprile, la II e la IV domenica di maggio. Inoltre, attualmente, il tratto più lungo del percorso viene effettuato in pullman.