1˚ Settembre 1939. La Germania invade la Polonia, dando inizio alla Seconda Guerra Mondiale in Europa, uno dei periodi peggiori che ha coinvolto l’intera generazione dei nostri Nonni!
Se mangi troppo, derubi la Patria!
Questo lo slogan del regime fascista, che, nel ’40, introduce la carta annonaria (poi ribattezzata “tessera della fame”), una tessera nominativa che consente agli italiani di prenotare il cibo da un fornitore di fiducia, ma solo in date prestabilite: pasta, farina di frumento e riso, nel limite massimo di 2Kg a testa ogni due mesi.
Dura la vita in periodo di guerra, altro che Covid!
Originariamente viene creata per economizzare i consumi alimentari, in seguito viene estesa anche al vestiario.
Vengono disposti divieti di vendita di caffè e la produzione di pane è limitata all’utilizzo di farina raffinata, quasi totalmente priva di fibra e germe di grano. Niente burro, pochissimo olio d’oliva, ridotto all’osso l’impiego di zucchero, per non parlare della carne e del pesce, da consumare solo in giorni prefissati.
Ma cosa mangiavano i nostri Nonni e in alcuni casi i nostri genitori, in questo capitolo buio della nostra storia?
Iniziamo il viaggio culinario in tempo di guerra con una serie di ”prelibatissime” pietanze che hanno accompagnato gli italiani in questa fase di lockdown. Partiamo con il pancotto, un piatto storico nato molti secoli prima, considerato un ottimo rimedio per le coliche dei neonati, soprattutto se aromatizzato con la salvia, dalle forti proprietà digestive e depurative, da sempre sulla tavola degli italiani nei periodi di maggiore povertà.
Le cipolle erano i prodotti poveri per antonomasia e raramente scarseggiavano; famosi utilizzi sono pane e cipolle e la cipollata, una zuppa di cipolle utilizzata come contorno o come piatto unico.
Finalmente troviamo una pasta, ma solo per alcuni privilegiati, gli spaghetti alla carrettiera romani, chiamati così perché consumati dai carrettieri, i conducenti dei carri che giungevano nella Capitale dai paesini limitrofi portando con loro varie merci, fra cui l’amato vino dei Castelli Romani. Erano spaghetti aglio, olio, peperoncino e prezzemolo, ma sono tante, poi, le versioni che si sono diffuse nel tempo.
Arriviamo in Abruzzo, con il piatto povero più diffuso in regione, le “pallotte cacio e ova”, che oggi vengono proposte in agriturismi, trattorie e osterie e anche nei migliori ristoranti, riscuotendo un successo strepitoso.
La storia, che si tramanda oralmente, racconta che, durante la II Guerra Mondiale, con i saccheggi dei tedeschi nelle case e nei casali di campagna, le massaie abruzzesi, attente e furbe, nascondevano le forme di formaggio, le uova e il pane sotto le travi del pavimento, dietro i mattoni dei muri, sopra le travi del sottotetto. Con questo trittico di ingredienti, le sapienti mani delle nostre Nonne magicamente cucinavano questo succulento piatto.
Dopo la guerra le massaie hanno continuato a cucinarle per supportare il duro lavoro nei campi, quando serviva un pasto veloce, sostanzioso e ricco di gusto.
Udite udite, secondo alcuni storici, le “pallotte cacio e ova” avrebbero ispirato persino gli spaghetti alla Carbonara.
La ricetta tramandata è costituita da 50% pane raffermo ma non troppo, 50% di formaggio pecorino semistagionato o quello che si ha a disposizione, 1 uovo ogni 100g d’impasto… in verità, come tutto del resto, di versioni ce ne sono centinaia. Un’accortezza è spezzare la piccantezza e sapidità del 50% di pecorino assoluto con un formaggio vaccino … ma ognuno poi la declina a proprio gusto. Nel corso del tempo si è aggiunto il pomodoro che ne ha elevato esponenzialmente il gusto.
W le pallotte cacio e ova e viva i nostri Nonni!
L’Abruzzo è pieno di luoghi dove gustare questa sublime pietanza… così, per dire!